Oggi
sono di nuovo ritornato alla vita normale, quella di tutti i
giorni, quella coi soliti problemi quotidiani che in questi momenti mi danno
una sensazione di serena tranquillità. Ho lasciato alle spalle la
Slovenia, come ho sempre fatto con tutte le altre missioni. Mi sprofondo in
questa quotidianità che ha sicuramente tanti difetti, ma anche moltissimi
pregi, anche se talvolta non riesco a apprezzarli.
Ormai
non mi pongo più la domanda: “Come può un militare dei reparti d'assalto,
capace di uccidere a sangue freddo, indossare nuovamente i panni di un medico?”
Sono
una personalità bipolare, uno psicotico parzialmente compensato? Una domanda
senz'alcuna risposta, almeno, non ne ho mai trovato nessuna valida. Per questo
ho deciso di lasciar perdere, a conti fatti, sono molto più sano di molte
persone, sopratutto di alcuni colleghi della sanità.
Sto
percorrendo una strada che scorre tra le risaie col sole che, basso
sull'orizzonte, sembra emanare lampi arancioni che si riflettono sull'acqua,
che sta cominciando ad inondarle. Sono diretto in clinica. Il lavoro
è sempre più duro, anzi, il termine è inesatto, sconfortante è
la definizione più consona. Sono ormai stato degradato ad essere solo ed
esclusivamente una mera macchina per la produzione ed il profitto, come in una
catena di montaggio, dove il termine qualità è solo utopia e la professione
medica si è trasformata in qualcosa di molto diverso, da ciò che avevo
immaginato. Mi consola il fatto che sono ancora qui, che posso permettermi
di lamentarmi, di non essere contento. Un grande lusso, il cui significato
si racchiude in una sola frase: sono ancora vivo.
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