Non
importava se qualcuno dei suoi collaboratori, non fosse all'altezza di
esercitare la professione: l'unico fattore decisivo era che fossero il suo
occhio e il suo orecchio, sempre.
Non
l'avevo mai visto una volta sola lavorare sul serio. Occupava stabilmente
la poltroncina della scrivania in guardiola, davanti ad un computer ove, dopo
aver scoperto che esisteva la posta elettronica, passava ore a
prenderne visione. In alternativa era alle prese con la stesura degli orari di
servizio, compito gravosissimo come spesso lui lo descriveva. Tutto questo
nel poco tempo dedicato al blocco operatorio. Dove trascorresse il rimanente
non si sapeva, anche se si poteva facilmente intuire.
Una
frase ricorrente degna di quel personaggio era: "Che ognuno si prenda la sua
responsabilità, altrimenti la direzione mi fa il popò." Era un vero
leader carismatico. Nel gruppo dei suoi collaboratori c'era una persona
non più freschissima negli anni, che mi destava una compassione tremenda. Sotto
l'aspetto mentale non era certo una cima, anzi. Tuttavia viveva per quella sala
operatoria. Non aveva amici o parenti, aveva sempre lavorato lì da quando era
arrivata da un paesino del sud. Di aspetto deliberatamente trascurato, si
esprimeva in un italiano degno di un personaggio di Verdone. Tuttavia era
un'instancabile lavoratrice, e non svolgeva solo le mansioni pertinenti al suo
ruolo.
A
mio parere il diploma d'infermiera le era stato regalato al suo paese. Faceva
di tutto e di più, dalla pulizia della sala operatoria a quella dei servizi
igienici. Sempre la prima ad arrivare, alle sette del mattino, e l'ultima
ad andarsene dopo le nove di sera. La si poteva incontrare anche il sabato e la
domenica, pur non essendoci alcuna attività operatoria. Considerava quel
luogo come la sua unica ragione di vita, e temeva sempre di esserne
allontanata.
Il
coordinatore, questo era il titolo di cui si fregiava quel signore anche
se non l'aveva mai acquisito, era ben consapevole della situazione psicologica
di quella sua collaboratrice, ed in modo meschino ne approfittava. La
umiliava davanti a tutti e la minacciava di farla trasferire. Spesse volte
l'avevo vista piangere, tuttavia, questa sfortunata non era in grado di
ribellarsi, non poteva. Si era addirittura arrivati al punto che costei, il mattino
prima di recarsi al lavoro, doveva spesso passare dal mercato coperto per
fargli la spesa domestica, diventando dunque suo compito recarsi in mensa per
procurare il vassoio del pranzo. Una vera schiava, una povera donna con
tanti, tantissimi problemi.
Qualcuno
avrebbe dovuto indicarle un buon psicologo, invece, tutto è sempre andato
avanti senza che nessuno sia mai intervenuto, né un
collega, né la direzione infermieristica, non parliamo della
direzione sanitaria. Andava bene, benissimo così, lo sfruttamento totale di una
persona psicologicamente 'debole,' sotto lo sguardo di tutti, che fingevano di
non vedere. Personalmente cercai di difenderla come meglio potevo le sue
difese, ma l'atto fu assai controproducente. Del resto, cosa potevo aspettarmi?
"E'
lei che lo vuole." Fu l'unica risposta che ricevette. I segnali
c'erano e non erano pochi. Nessuno si schierò, nessuno assunse una posizione,
in nessun modo. Era così difficile, era così pericoloso? Il direttore
generale sapeva come stavano le cose? Oppure era a conoscenza solo di ciò che i
suoi collaboratori gli riferivano, magari non la verità ma ciò che faceva loro
più comodo?
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