mercoledì 23 agosto 2017

Il dirigente e l'infermiera


Non importava se qualcuno dei suoi collaboratori, non fosse all'altezza di esercitare la professione: l'unico fattore decisivo era che fossero il suo occhio e il suo orecchio, sempre.

Non l'avevo mai visto una volta sola lavorare sul serio. Occupava stabilmente la poltroncina della scrivania in guardiola, davanti ad un computer ove, dopo aver scoperto che esisteva la posta elettronica, passava ore a prenderne visione. In alternativa era alle prese con la stesura degli orari di servizio, compito gravosissimo come spesso lui lo descriveva. Tutto questo nel poco tempo dedicato al blocco operatorio. Dove trascorresse il rimanente non si sapeva, anche se si poteva facilmente intuire.

Una frase ricorrente degna di quel personaggio era: "Che ognuno si prenda la sua responsabilità, altrimenti la direzione mi fa il popò." Era un vero leader carismatico. Nel gruppo dei suoi collaboratori c'era una persona non più freschissima negli anni, che mi destava una compassione tremenda. Sotto l'aspetto mentale non era certo una cima, anzi. Tuttavia viveva per quella sala operatoria. Non aveva amici o parenti, aveva sempre lavorato lì da quando era arrivata da un paesino del sud. Di aspetto deliberatamente trascurato, si esprimeva in un italiano degno di un personaggio di Verdone. Tuttavia era un'instancabile lavoratrice, e non svolgeva solo le mansioni pertinenti al suo ruolo. 

A mio parere il diploma d'infermiera le era stato regalato al suo paese. Faceva di tutto e di più, dalla pulizia della sala operatoria a quella dei servizi igienici. Sempre la prima ad arrivare, alle sette del mattino, e l'ultima ad andarsene dopo le nove di sera. La si poteva incontrare anche il sabato e la domenica, pur non essendoci alcuna attività operatoria. Considerava quel luogo come la sua unica ragione di vita, e temeva sempre di esserne allontanata.

Il coordinatore, questo era il titolo di cui si fregiava quel signore anche se non l'aveva mai acquisito, era ben consapevole della situazione psicologica di quella sua collaboratrice, ed in modo meschino ne approfittava. La umiliava davanti a tutti e la minacciava di farla trasferire. Spesse volte l'avevo vista piangere, tuttavia, questa sfortunata non era in grado di ribellarsi, non poteva. Si era addirittura arrivati al punto che costei, il mattino prima di recarsi al lavoro, doveva spesso passare dal mercato coperto per fargli la spesa domestica, diventando dunque suo compito recarsi in mensa per procurare il vassoio del pranzo. Una vera schiava, una povera donna con tanti, tantissimi problemi.

Qualcuno avrebbe dovuto indicarle un buon psicologo, invece, tutto è sempre andato avanti senza che nessuno sia mai intervenuto, né un collega, né la direzione infermieristica, non parliamo della direzione sanitaria. Andava bene, benissimo così, lo sfruttamento totale di una persona psicologicamente 'debole,' sotto lo sguardo di tutti, che fingevano di non vedere. Personalmente cercai di difenderla come meglio potevo le sue difese, ma l'atto fu assai controproducente. Del resto, cosa potevo aspettarmi?


"E' lei che lo vuole."  Fu l'unica risposta che ricevette. I segnali c'erano e non erano pochi. Nessuno si schierò, nessuno assunse una posizione, in nessun modo. Era così difficile, era così pericoloso? Il direttore generale sapeva come stavano le cose? Oppure era a conoscenza solo di ciò che i suoi collaboratori gli riferivano, magari non la verità ma ciò che faceva loro più comodo?

Nessun commento:

Posta un commento

Presentazione del romanzo "L'altra faccia della scimmia." Di Vincenzo Maria D'Ascanio.

“L’altra faccia della scimmia” è un romanzo ambientato in un arco di tempo che va dalle lotte studentesche degli anni 60' sino ai ...