giovedì 24 agosto 2017

Un incontro insperato


I giorni passavano tra il disprezzo e lo strano rancore dei colleghi. Neanche a dirlo, invece, ero sempre più apprezzato dai pazienti. Persona strana, così ero definito, ma alla quale era riconosciuta una professionalità ed una umanità che non avevano nulla a che fare con quel contesto.

Il bar dinanzi all'ospedale era un punto di riferimento per le mie sporadiche incursioni serali. Vi passavo di sfuggita dopo il turno. Una sera chiesi al barman, il figlio della padrona, un Negroni. Con aria molto professionale costui, dopo aver interrotto una filippica calcistica rivolta ad un avventore, ed aver esaminato con attenzione e ripetutamente le bottiglie allineate sugli scaffali alle sue spalle, disse: "Mi spiace dottore, non ce l’ho. Posso darle un Aperol, ma stia tranquillo, domani mattina lo ordino." Detto questo, ricominciò la sua diatriba con l’avventore ormai completamente ubriaco. Mai un discorso diverso dal calcio, dal gossip, dalla caccia. Del resto, cosa mai ci si poteva aspettare da quel posto e da quella gente?

La maggior parte delle conversazioni riguardano il nulla, e l'assenza di profondità aumenta esponenzialmente se uno dei partecipanti commetteva l'errore di parlare di qualcosa di un po' più serio del risultato dell'ultima partita del campionato di calcio... Nonostante questo ed altri aspetti, non erano poi così male; in fondo erano ciò che erano, non mentivano.

Un giorno, rubando il tempo e la vita, come  ero solito pensare, riuscii a convincere quella ragazza ad accompagnarmi all'università. Dovevo ritirare dei documenti in segreteria che riguardavano la mia specializzazione. Di certo furono complici la giornata stupenda, riscaldata dai raggi di un sole che pareva cullarti e spingerti ad osare oltre quanto avresti voluto, con l’aria che t'inebriava e sembrava sussurrarti che il mondo era tuo. In quella cittadina medievale, camminando e tenendoci per mano come due ragazzini sorpresi dal primo amore, riscoprii la gioia di vivere e la speranza nel futuro.

Per la prima volta osai, anche se sommessamente, confessare le mie pene per un'adolescenza non avuta, l’essermi allontanato dalla famiglia e la solitudine che mi circondava. Le parlai mentre ci trovavamo in una graziosa piazzetta, contornata sui quattro lati da un porticato. Dopo tanti anni riuscii a parlare con la massima sincerità, e quella donna mi ascoltò. Dunque mi strinse a sé, e mi baciò sulla bocca in un modo nuovo, che sino ad allora non avevo mai avevo sperimentato. L’aveva capito: desideravo condividere con lei la mia vita, e cominciai a vedere il bicchiere mezzo pieno, non come l’avevo sempre visto, eternamente e paradossalmente mezzo vuoto.

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