Nonostante
le difficoltà legate al mio ruolo nell'esercito, ero riuscito ad organizzarmi
discretamente. Quando non ero operativo, terminato l'addestramento
giornaliero, mi ritiravo negli alloggiamenti a studiare.
Nonostante
fossero ricavati presso strutture militari o similari, dove temporaneamente
venivamo ospitati, anonimi e defilati, riuscivo quasi sempre a trovare un posto
tranquillo, dove poter preparare gli esami. Nemmeno il durissimo
allenamento che quotidianamente effettuavamo e che, data la nostra ubicazione
spesso improvvisata, comportava sovente spostamenti notevoli, era riuscito a
distogliermi dal mio obiettivo, ovvero la laurea in medicina.
Quando
la fortuna mi faceva trovare nelle vicinanze di qualche città universitaria,
trovavo il tempo di frequentare lezioni e corsi. Nei periodi di licenza,
dedicavo tutto il mio tempo per recuperare le lezioni che avevo dovuto
forzatamente disertare. Ero però sotto i riflettori di tutti.
A
dispetto della moda di quel tempo, ove il portare i capelli lunghi era il primo
segno di appartenenza alla contestazione, io, che li portavo a zero,
mi vedevo costretto a dribblare domande curiose su quelle mie
comparse saltuarie, intervallate da lunghi periodi di assenza, fatta
eccezione per le sessioni d'esame. A fatica, quasi violentandomi
psicologicamente, riuscivo a sopportare i discorsi dei compagni di corso, che
spesso trattavano di problemi politici e sociali. Questi scambi d'opinione
si concludevano con feroci critiche rivolte allo Stato ed ai suoi
rappresentanti, tanto che, più di una volta, dovetti trattenermi dal dir loro
la mia opinione, magari con un linguaggio non proprio formale.
Trovavo
facile lanciare proclami più' o meno rivoluzionari che avrebbero cambiato in
meglio il mondo, e ritenevo fosse ancor più facile, comodo ed ipocrita,
giudicare senza far nulla di concreto per eliminare il marcio della nostra
società, magari per rimanerne legati e sfruttare una situazione privilegiata,
non appena questa si presentava. Le parole costano di certo meno
dell’agire.
Tutti
gli esami che sostenevo non costituivano per me un particolare stress. Erano
invece un momento di gioia e felicità, un qualcosa che mi rilassava, che
in qualche modo mi faceva tornare ad una vita civile, forse un po' grigia,
senza alti e bassi, ma di certo meno stressante. Mi ritrovavo a camminare
tra i vicoli dei padiglioni del Policlinico, contento di trovarmi in quei
luoghi, felice di dover sostenere quegli esami, forse, senza volerlo ammettere
a me stesso, contento di essere ancora vivo.
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