giovedì 24 agosto 2017

Nei panni dello studente


Nonostante le difficoltà legate al mio ruolo nell'esercito, ero riuscito ad organizzarmi discretamente. Quando non ero operativo, terminato l'addestramento giornaliero, mi ritiravo negli alloggiamenti a studiare.

Nonostante fossero ricavati presso strutture militari o similari, dove temporaneamente venivamo ospitati, anonimi e defilati, riuscivo quasi sempre a trovare un posto tranquillo, dove poter preparare gli esami. Nemmeno il durissimo allenamento che quotidianamente effettuavamo e che, data la nostra ubicazione spesso improvvisata, comportava sovente spostamenti notevoli, era riuscito a distogliermi dal mio obiettivo, ovvero la laurea in medicina.

Quando la fortuna mi faceva trovare nelle vicinanze di qualche città universitaria, trovavo il tempo di frequentare lezioni e corsi. Nei periodi di licenza, dedicavo tutto il mio tempo per recuperare le lezioni che avevo dovuto forzatamente disertare. Ero però sotto i riflettori di tutti.

A dispetto della moda di quel tempo, ove il portare i capelli lunghi era il primo segno di appartenenza alla contestazione, io, che li portavo a zero, mi vedevo costretto a dribblare domande curiose su quelle mie comparse saltuarie, intervallate da lunghi periodi di assenza, fatta eccezione per le sessioni d'esame. A fatica, quasi violentandomi psicologicamente, riuscivo a sopportare i discorsi dei compagni di corso, che spesso trattavano di problemi politici e sociali. Questi scambi d'opinione  si concludevano con feroci critiche rivolte allo Stato ed ai suoi rappresentanti, tanto che, più di una volta, dovetti trattenermi dal dir loro la mia opinione, magari con un linguaggio non proprio formale.

Trovavo facile lanciare proclami più' o meno rivoluzionari che avrebbero cambiato in meglio il mondo, e ritenevo fosse ancor più facile, comodo ed ipocrita, giudicare senza far nulla di concreto per eliminare il marcio della nostra società, magari per rimanerne legati e sfruttare una situazione privilegiata, non appena questa si presentava. Le parole costano di certo meno dell’agire.

Tutti gli esami che sostenevo non costituivano per me un particolare stress. Erano invece un momento di gioia e felicità, un qualcosa che mi rilassava, che in qualche modo mi faceva tornare ad una vita civile, forse un po' grigia, senza alti e bassi, ma di certo meno stressante. Mi ritrovavo a camminare tra i vicoli dei padiglioni del Policlinico, contento di trovarmi in quei luoghi, felice di dover sostenere quegli esami, forse, senza volerlo ammettere a me stesso, contento di essere ancora vivo.

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