giovedì 24 agosto 2017

Storie di ordinaria follia nella sanità pubblica


Era stata da pochissimo tempo inaugurata una nuova base per il servizio di elisoccorso. Alla direzione era stato preposto il primario del servizio di anestesia e rianimazione di un vicino ospedale. La maggior parte dell’attività che sarebbe stata svolta, avrebbe interessato la copertura del territorio montano ed i conseguenti collegamenti con le strutture del territorio, comprese quelle che si trovavano in pianura. 

Ero stato uno dei primi ad essere contattato. Assurdo ed incredibile nello stesso tempo, anche in questa occasione l'improvvisazione era notevole, anche se il servizio sarebbe dovuto essere di alto livello. Il personale medico ed infermieristico non era stato addestrato, e non era stato sottoposto ad alcuna valutazione d'idoneità al volo. Ero l'unico che, per altri motivi, aveva volato su un elicottero.

Tra i componenti di quella  task-force, alcuni soffrivano di mal d'aria, altri di vertigini. Si può immaginare la qualità dell’intervento, quando medico o infermiere erano chiamati ad operare  in una procedura di recupero. Ancora oggi mi domando come abbiano fatto quelle guide alpine, componenti dello staff, a sostenere una tale situazione. Erano delle persone assolutamente dedite al sacrificio.

Solo parecchi mesi dopo si avvertì la necessità di eseguire corsi specifici di preparazione per gli operatori ed istituire criteri, più o meno validi, di valutazione e d'idoneità. Sulla carta si era già fornito un servizio di eccellenza. Poco importava se la qualità fornita fosse scadente ed i costi stratosferici: il target, quello di sempre, era vendere fumo per ottenere consensi e, anche questa volta, era stato pienamente raggiunto. Significativo era ciò che avevo riscontrato già nel primo turno del servizio: mancava l’ossigeno, la nostra check-list non prevedeva che fossimo provvisti di bombole d'ossigeno. Non si parla di un accessorio di cui si può fare a meno, magari riuscendo a tamponare la situazione in qualche modo.

E’ un presidio indispensabile per poter effettuare le manovre rianimatorie. Quando feci presente al responsabile il problema, questi s'infuriò e mi disse: "Devi proprio sempre rompere le scatole? La maggior parte degli interventi sono in alta quota. Non sai che gli atleti vanno ad allenarsi in montagna per migliorare le loro prestazioni di tenuta? E sai il perché? In montagna c’è più ossigeno,  quindi è inutile che ci portiamo dietro una bombola!"

Rimasi impietrito. Quell'illustre primario non sapeva che gli allenamenti in quota servivano ad aumentare il numero dei globuli rossi e, pertanto, la percentuale di emoglobina nel sangue. Più si sale ad alta quota, più diminuisce la quantità d’ossigeno nell'aria che respiriamo, esattamente il contrario di quello che asseriva quel luminare. Ero incredulo dinanzi a quanto avevo sentito, ma questa, era la realtà culturale di quella classe medica. La stessa classe medica che giudicava gli altri, quella che nominava i primari, gli apicali, coloro ai quali era affidato il compito di salvaguardare la salute del cittadino. Follia?

No, sempre la solita musica, l'interesse di pochi a qualsiasi prezzo, anche la vita del prossimo. Quel signore era Primario solo per un motivo, l'essere in grado di procurare un numero cospicuo di voti elettorali, la capacità professionale non contava nulla. La solita minestra: potere politico, interessi economici, sudditanza.


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